giovedì 31 gennaio 2013

Intervista e presentazione del reportage: "Legami - storia di bondage"


Ieri sera presso il GF La Mole di Torino ho presentato in anteprima assoluta il mio ultimo reportage: "Legami - storia di bondage". Sono stato intervistato dal presidente del gruppo Riccardo Rebora sul mio lavoro di fotografo e su questo mio ultimo reportage. E' stata una bellissima serata e vorrei ringraziare tutti le splendide persone che sono intervenute e che hanno permesso la perfetta riuscita dell'evento.
Un particolare ringraziamento a Dr Fatso e alla sua modella per avermi permesso di realizzare questo reportage seguendoli durante una loro sessione di bondage.
Di seguito troverete l'intervista e le immagini del lavoro...

D) L’ospite di questa sera è Marco Donatiello, fotografo e titolare fondatore del DP Studio, da un lato il fotografo di reportage e dall’altra il lavoro di studio con una clientela prettamente aziendale ed industriale. Hai voglia di raccontarci come sei diventato fotografo?
R) Ho iniziato a fotografare relativamente tardi, ai tempi dell'università, ma ho sempre vissuto in mezzo alle fotografie grazie a mio papà che è stato un grande amante della fotografia e fotoamatore molto evoluto. Quindi la fotografia è sempre stata nel mio DNA. Fin dall'inizio sono stato affascinato dai ritratti e dal narrare storie attraverso la fotografia, quindi l'approdo al mondo del reportage è stato molto naturale. Dopo la laurea in psicologia ho iniziato a lavorare come formatore e selezionatore del personale, ma nel 2007 mi sono reso conto che la mia strada professionale e lavorativa portava altrove. Ho mollato tutto e ho aperto il DP Studio fotografico, dove mi occupo di reportage, ritrattistica e corporate.

D) Da sempre sei stato un attento reporter non solo delle tematiche sociali, ma anche di quegli aspetti della società più borderline. Lo scorso anno ci avevi portato il tuo lavoro “Una vita da regina” dedicato alla vita delle “Drag Queen” e adesso ci presenti in anteprima assoluta “Legami” dedicato al tema del bondage. Prima di cominciare con la visione delle foto hai voglia di dirci brevemente quali sono le motivazioni che ti portano alla scelta di un nuovo lavoro?
R) Innanzitutto la curiosità. La curiosità mi ha sempre accompagnato fin da bambino, mi sono posto domande e ho cercato le risposte. Da quando ho scoperto la fotografia la utilizzo per soddisfare le mie domande. Il reportage di questa sera si inserisce in un lavoro più ampio sul tema del borderline che sto portando avanti da qualche tempo. Borderline inteso non con valenza clinica, ma come quella sottile linea che sta al confine tra ciò che la società ritiene normale e tutto quello che ci spaventa perché non lo conosciamo. E' quell'area oscura che da una parte ci intimorisce a dall'altra ci affascina. Ho quindi deciso di raccontare le storie di chi ha deciso di vivere fuori dagli schemi seguendo il proprio essere, il proprio istinto. Ricordiamoci che l'essere diverso rende unico l'essere umano!
Altro punto è il mio amore per la fotografia. Non è solo un lavoro, una professione, ma un vero e proprio bisogno. Come ho bisogno di mangiare, ho anche bisogno di fotografare. Se trascorro troppo tempo senza fotografare mi sento vuoto, inutile.

D) Il tuo stile di reportage è sempre preciso, attento, mai banale. Ogni cosa è al suo posto. Immagino che dietro ci sia un lavoro di preparazione non indifferente. Ti documenti su quello che andrai prima dell’inizio del tuo lavoro? Provi già a visualizzare nella tua mente quelle che saranno le pose e le situazioni che vorrai ritrarre? Ti documenti su lavori similari di altri fotografi?
R) Cerco di approcciare i miei lavori senza nessun pregiudizio, ma informandomi molto, studiando sempre prima quello che vado a fotografare. Normalmente individuo l'argomento e inizio a studiarlo, poi contatto i miei soggetti cercando sempre di incontrarli prima per intervistarli o scambiando con loro alcune mail e cercare di capire meglio quello che andrò a fotografare. Questi incontri preliminari mi servono, oltre a conoscere i futuri soggetti e farmi conoscere da loro, anche per spiegare cosa ho in mente, cosa voglio fare e il perché. Ma sono molto utili anche perché emergono sempre punti di vista diversi da quelli che posso avere io. Rispetto a loro sono molto ignorante della materia che andrò a fotografare, e avere una guida esperta per conoscerla aiuta moltissimo il mio compito di raccontare la storia.
Mi documento moltissimo su cosa è già stato fotografato in materia, sia per prendere spunto, sia per vedere come altri autori hanno affrontato l'argomento, cercando quindi un punto di vista differente. Non è sempre facile, ma è un compito da svolgere sempre con la massima attenzione, per evitare di cadere nel banale o nel già detto.
Inoltre studio molto il mio soggetto, il suo sito internet, i suoi video, le sue fotografie, non solo per iniziare a immaginare la sessione, ma anche per capirne i movimenti, le espressioni. Voglio arrivare al momento dello scatto con il maggior numero di informazioni possibili, per essere preparato e pronto. Magari non immagino le pose, ma le situazioni si. Il focus del reportage e le situazioni chiave sono già ben fissate nella mia mente durante la fase di scatto. Per fare un esempio sul lavoro presentato stasera il focus sui dettagli l'avevo stabilito in precedenza, così come l'attenzione alle mani del soggetto.

D) Dalle immagini che ci hai appena presentato traspare una scelta stilistica molto netta e definita. Possiamo cogliere una delicata attenzione ai dettagli che diventano il fil rouge di tutto il reportage. Come mai hai deciso di raccontare il mondo del bondage tramite quest’ottica?
R) I dettagli sono secondo me molto importanti per raccontare una storia come quella di “Legami”. Permettono di entrare in profondità nel racconto, aiutano chi guarda il lavoro di essere dentro di esso. Arricchiscono la narrazione e spesso un dettaglio racconta molto più di un ritratto. Sono assolutamente concorde che uno sguardo vale più di mille parole, ma a volte una fotografia che ad una prima lettura sembra solo di raccordo, ad una lettura più approfondita diventa il cardine di tutto il reportage.

D) Anche la scelta del cromatismo si innesta in quest’ottica di valorizzazione dei dettagli. E’ una scelta che avevi già in mente prima di scattare o è nata in seguito?
R) Non avevo in mente questo tipo di cromatismo fino a quando non mi sono trovato sulla scena. I lenzuoli bianchi appesi alle pareti, il vestiario scuro di uno dei soggetti. Questa quasi assenza dei colori mi ha spinto a scegliere questa tipologia di elaborazione. Vorrei solo spendere qualche parola sul discorso della post produzione. E' sicuramente un fattore importante, anzi fondamentale per la buona riuscita del lavoro, ma ritengo più importante avere le idee chiare su come svolgere il reportage, sulle fotografie da scattare, sulla storia da raccontare piuttosto che su come post produrle. Magari oggi siamo affascinati dal Bianco e Nero, ma riprendendo il lavoro fra una decina d'anni lo stravolgeremo dal punto di vista dell'elaborazione. E' uno degli enormi vantaggi del digitale, sfruttiamolo a pieno!

D) La visione di un lavoro omogeneo e strutturato come quello che ci hai appena mostrato immagino si porti dietro un accurato e minuzioso lavoro di editing e di selezione. Hai voglia di raccontarci come affronti questo processo?
R) Il lavoro di editing, al pari di quello della preparazione, ha una durata molto lunga. Reputo entrambe le fasi importantissime per la riuscita del reportage. Adoro studiare e prepararmi prima dello shooting, è affascinante scoprire e imparare cose nuove. Patisco invece la fase di editing successiva. Arrivo a guardare e riguardare per centinaia, a volte migliaia di volte tutto lo scattato prima di iniziare a fare la selezione. Selezione che difficilmente è quella finale e conclusiva. Tutti i miei lavori si evolvono nel tempo, maturano insieme a me, e ogni volta che devo esporre un lavoro riparto sempre dai files Raw dello scattato. Questo perché negli anni si modifica, spero che si affini, il mio modo di narrare le storie e cerco sempre di compiere un editing migliore ogni volta che presento nuovamente un vecchio lavoro. Molto spesso questa continua visione delle fotografie mi porta ad avere quasi un rifiuto di esse. A volte mi devo fermare qualche settimana e non guardarle più, se no rischierei di cancellare tutto. A volte penso quanto sarebbe bello avere una persona esperta che potesse fare questo lavoro al mio posto, in modo da potermi concentrare solo sul cercare nuove tematiche e a scattare nuovi lavori.
Dal punto di vista pratico, il mio modo di fare editing parte sempre nel ricercare l'immagine di apertura e quella di chiusura del lavoro. Successivamente scelgo le immagini principali, quelle forti che caratterizzano il reportage, ed infine tutte le immagini di raccordo che aiutano una lettura migliore delle fotografie nel loro complesso.

D) Torniamo un attimo ad un discorso più ampio, quando realizzi i tuoi reportage, ti senti coinvolto oppure mantieni un distacco oggettivo. Portando all’estremo, si può dire che i tuoi lavori siano oggettivi, una semplice descrizione della realtà, oppure sono la visione e il pensiero di Marco?
R) Un lavoro in fotografia non è mai oggettivo al 100%, porta sempre dietro degli strascichi del background socioculturale del fotografo. Anche solo la scelta di un'inquadratura può modificare l'oggettività di un intero lavoro. Personalmente sono conscio di questa problematica e cerco di arrivare di fronte ai miei soggetti senza nessun tipo di pregiudizio (inteso come giudizio a priori, senza conoscere approfonditamente l'argomento). E' difficile spogliarsi di alcune convinzioni radicate in noi da anni di condizionamento sociale, ma per essere dei buoni reporter è necessario cercare di estraniarsi e farsi accompagnare per mano dai soggetti nel nuovo mondo che andiamo ad esplorare. E' un atto di estrema umiltà, senza il quale non riusciremmo a raccontare la nostra storia.

D) Parliamo ancora un attimo in generale di reportage approfittando della tua esperienza, tu ritieni che il reportage possa essere un prodotto chiavi in mano offerto alla visione libera di tutti oppure che debba essere sempre contestualizzato introdotto e argomentato?
R) Credo che un minimo di contestualizzazione sia sempre necessario, anche di fronte a lavori molto didascalici. Una breve introduzione, come quella che abbiamo fatto noi ad inizio serata, serve per dare una collocazione al lavoro, al fotografo che l'ha realizzato, aiuta l'osservatore a capirci di più e a dare una lettura più consapevole e approfondita al lavoro stesso. Non dico che bisogna condizionare che guarda il nostro lavoro, ma che bisogna solo dargli degli strumenti per fargli capire quello che vogliamo comunicare. L'osservatore non si trova di fronte ad una bellissima natura morta, ma ad un racconto articolato che vuole condurlo a porsi domande (e non a dare risposte!). Il reportage non è un genere difficile e faticoso solo per il fotografo, ma anche per l'osservatore che non è relegato come negli altri generi ad essere un soggetto passivo, ma diventa molto attivo con le sue convinzione, le sue idee e le sue domande. Di fronte ad un ritratto posso rimanerne affascinato senza pormi nessuna domanda, ma di fronte ad un reportage non mi pongo nessuna domanda allora non lo sto affrontando nel modo giusto. Sto solo perdendo del tempo.

D) Per concludere la piacevole discussione ci puoi fornire qualche anticipazione sul tuo prossimo lavoro?
R) Per questo 2013 mi sono prefissato principalmente due obiettivi: il primo è logicamente quello di continuare ad approfondire la strada del bordeline, sto già lavorando in questa direzione proprio in questi giorni. Invece il secondo obiettivo è di mettere mano ad un lavoro di lungo termine che sto seguendo da quasi 10 anni sul mondo dell'antimafia sociale e vorrei iniziare a porre le basi per la formalizzazione del reportage. Il difficile di questi lavori è la mole immensa di fotografie da editare. E' necessario cercare di capire che direzione dare al lavoro e di conseguenza selezionare le immagini. Un lavoro lungo e reso difficile dal fatto che attualmente sto continuando in questa ricerca e quindi il lavoro è ancora in itinere. Il mio maggior timore è quello di condizionare i futuri shooting sulla base dell'editing iniziato.  




















































Ecco invece qualche foto della serata: