giovedì 7 agosto 2014

Question time #3 - la spinosa questione della post produzione nel reportage

Questa domanda mi è arrivata direttamente qualche giorno fa da un allievo durante un coach sulla fotografia di reportage. In parole povere mi chiedeva se la fotografia odierna non fosse troppo schiava di Photoshop e della post produzione in generale. Visto che è una domanda che mi viene fatta spesso e in molte occasioni, ho deciso di parlarne anche qua.
La mia risposta è semplice. La post produzione è sempre esistita, fin da quando è nata la fotografia. Non voglio tediarvi in un excursus storico sulle manipolazioni fotografiche del secolo scorso, ma per farvi capire quanto venissero post prodotte ne passato le fotografie analogiche faccio vedere sempre questo esempio:


Si tratta di un provino di stampa di Richard Avedon con annotate le sue istruzioni allo stampatore per "ritoccare" la sua immagine, per avere in stampa la fotografia che aveva in mente. Come ben vedete la post produzione è sempre esistita. C'è un'unica differenza: in passato erano pochissime persone in grado di effettuare certi tipi di elaborazione, oggi con la rivoluzione digitale queste capacità sono alla portata di tutti. E, secondo me, è un bene enorme.

Ma andiamo oltre. Quanta post produzione è "ammessa" nel reportage. La questione è delicata e non semplice. Personalmente seguo la corrente secondo cui in reportage la post produzione non deve modificare la visione del reale. Se c'è un palo nell'inquadratura deve rimanerci, punto e basta. Molto spesso reporter e post produttori sono andati oltre questo principio, con risultati nefasti. 
Permettetemi una breve carrellata, perché con alcuni esempi è più semplice.

Perché questa fotografia di Stepan Rudik è stata squalificata dal Word Press Photo?


Semplicemente perché è stato effettuato un crop eccessivo che snatura lo scatto originale e c'è stato eliminato un elemento di disturbo. Ecco la fotografia originaria:


Altro giro, altro regalo!
Qua andiamo sul grottesco, lo ammetto, ma questo giochetto è costato il posto di lavoro del fotoreporter Adnan Hajj che per rendere più drammatica un'immagine dei bombardamenti israeliani su Beirut ha clonato in modo molto maldestro un po' di fumo!


Ultimo case history, secondo me molto interessante: non un ritocco estremo, ma semplice postproduzione cromatica e di contrasto.


L'immagine è la stessa. quella di sinistra naturale, senza nessun intervento, mentre in quella di destra è stato aumentato il contrasto e scurita la pelle, per rendere più cupo e "criminale" il viso del soggetto. Quindi la redazione ha preso una posizione ben precisa e lasciando da parte l'imparzialità.